Sarà interrogato oggi Danish Hasnain, lo zio di Saman, l’uomo accusato di esserne stato l’assassino materiale lo scorso 30 Aprile a Novellara.
Quale verità racconterà al giudice, dopo la sua estradizione dalla Francia avvenuta giovedì scorso, non è facile prevederlo, anche se è probabile che continui a negare ogni sua responsabilità. Almeno questa è stata la sua difesa anche davanti ai giudici francesi, durante le settimane in cui si è opposto alla richiesta delle autorità italiane di poterlo riportare nel nostro Paese.
“Chi mi accusa? Chi mi ha visto uccidere la ragazza?”
In pratica è stata questa la sua linea difensiva, fino a quando non ha accettato di tornare in Italia, forse consapevole che ogni resistenza legale sarebbe stata inutile sul lungo periodo.
Ora il suo ritorno è un’occasione imperdibile per rendere giustizia a Saman. Una giustizia tardiva purtroppo. Di lei, del suo destino o anche solo del suo corpo, non ne abbiamo saputo più nulla. Nessuno la cerca più.
Spenti i riflettori della cronaca tra le campagne di Novellara, dove viveva con la sua famiglia, o forse sarebbe meglio dire il suo clan, è tornato il silenzio. E il rischio che lo stesso silenzio cali sulla sua vicenda, esiste, è inutile nasconderlo. Le indagini formalmente proseguono, ma la verità sulla notte della sua scomparsa è ancora lungi dall’essere accertata. Il cugino Ikram è in carcere e continua a negare di aver partecipato al presunto delitto, lo stesso fa lo zio Danish.
Quanto peserà ora sullo sviluppo delle indagini, sulla possibilità di far confessare Danish, la testimonianza del fratellino di Saman? Una testimonianza peraltro mutata di interrogatorio in interrogatorio e non supportata dalle immagini delle telecamere che quella notte riprendono i movimenti della ragazza, di sua madre e suo padre, ma non il momento della presunta aggressione?
Sia chiaro, io personalmente ho pochi dubbi su quanto sia accaduto quella notte a Novellara, ma è indubbio che l’attribuzione delle singole responsabilità sia ancora tutta da chiarire. Soprattutto per quanto riguarda l’omicidio. A dire che è stato lo zio Danish l’autore materiale del delitto è solo il ragazzo. Un ragazzo il cui ruolo, nella storia di Saman e della sua condizione di ragazza ribelle alle tradizioni, è ancora tutto da definire.
Gli altri elementi di ‘prova’ come la messaggistica e la fuga dopo quella tragica notte, sono elementi indiziari. Fortemente sospetti, gravi, coincidenti. Quasi certamente indicativi di un’azione collettiva o comunque nota a tutti i componenti della famiglia/clan. Non dirimenti però all’attribuzione delle singole responsabilità.
Si arriverà a una condanna? Conoscendo il sistema giudiziario italiano mi sento di dire di sì. Diverso è dire se si arriverà a una verità accertata con sicurezza.
LO STATO ITALIANO PERO’ E’ IN DEBITO CON QUESTA RAGAZZA. AVREMMO POTUTO SALVARLA E NON NE SIAMO STATI CAPACI. CERCHIAMO ALMENO DI TROVARE IL SUO CORPO, E DI TROVARE SOPRATTUTTO LA VERITA’.
UN IMPEGNO TARDIVO CERTO, MA ALMENO UN SEGNO DI GIUSTIZIA ALLA SUA MEMORIA.
Che Saman potesse essere salvata, sottratta al proprio destino, l’ho pensato fin da subito, dai primi passi dell’indagine. Non perché io sia meglio di quanti hanno investigato, ma perché fin dai primi giorni è accaduto qualcosa di fortemente dissonante in questa vicenda. Almeno per chiunque si occupi abitualmente di cronaca nera.
Il 12 giugno 2021 infatti sul Corriere della sera esce un articolo che raccoglie le parole del Comandante della stazione dei Carabinieri di Novellara, l’uomo che il 22 aprile era stato a casa della famiglia Abbas e aveva parlato con tutti loro, e poi ancora con Saman da sola, in caserma.
“…le chiarisco che non mi sentivo tranquillo – racconta al giornalista il Maresciallo, riferendosi al padre di Saman – ma, per come si era comportato in precedenza, con la storia delle nozze, quell’uomo proprio non mi piaceva».
(qui potete leggere la versione on line dell’articolo —> HO PROVATO A SALVARLA)
Il maresciallo, racconta insomma quell’ultimo incontro con la ragazza, riportando le perplessità che erano sorte dentro di lui in merito a quella situazione familiare difficile, al matrimonio combinato, e di come invece Saman avesse insistito per percorrere la strada del tornare in possesso dei suoi documenti attraverso il dialogo con il padre. Il carabiniere racconta di come il ritardo con cui lui tornerà a casa Abbas solo il 3 maggio, dopo cioè il presunto delitto, sia dipeso in realtà da lungaggini procedurali, rispetto alle sue immediate segnalazioni alle autorità competenti, giudiziari e di assistenza sociale.
«Io so che ho fatto tutto il possibile»
E’ la conclusione dell’articolo, riprendendo le parole dell’uomo.
Ho usato il termine dissonante, prima, riferendomi a questa intervista. L’ho fatto perché è assolutamente anomalo che un sottufficiale dell’Arma venga autorizzato a rilasciare un’intervista di questo tenore nell’immediatezza di un fatto che in quei giorni era ancora tutto da definire. L’impressione, forte, è stata che quell’intervista servisse a mettere le mani avanti, ad assolvere da ogni responsabilità morale i militari che erano intervenuti.
Perché è evidente, lo è stato fin dall’inizio, che lasciare quella ragazza in quella casa quel giorno, sia stato un errore. Un errore di valutazione. Della giovane senza dubbio, ma anche di chi si è trovato nella possibilità di agire in sua totale, di forzare la mano magari, ma anche di sottrarla a un destino tragico.
Essere venuti a conoscenza quel giorno, il 22 aprile, del fatto che la famiglia avesse sequestrato i documenti – il passaporto – che la ragazza rivoleva indietro, divenuta maggiorenne, per essere libera di vivere la sua vita, essere consapevoli che suo padre mentiva nel momento in cui diceva di non sapere dove fosse il documento, credo avrebbe dovuto spingere a un intervento più diretto e rapido. Capisco i tempi burocratici, le procedure, ma alla famiglia una domanda personalmente l’avrei posta: “Siete certi di non aver sequestrato i documenti? Perché in tal caso state commettendo un reato, e finirete in carcere”.
Insomma, una pressione diretta. E un rappresentante delle forze dell’ordine a conoscenza di un reato, lo considero legittimato a farla. Io l’avrei messa in essere.
Lo dico non tanto con il senno di poi, ma sulla base di quanto emerso dai documenti d’indagine. Elementi a noi cronisti ignoti nei primi tempi di questa vicenda, ma noti invece ai Carabinieri.
Andiamo quindi bene a ricostruire la storia di Saman, cosa era accaduto nella sua vita prima di quegli ultimi tragici giorni che hanno preceduto la sua scomparsa, il suo quasi certo omicidio.
12.06.2020 – ShabarAbbas, il padre di Saman, denuncia l’allontanamento volontario da casa della propria figlia diciassettenne . Questa -che a dire del padre si sentirebbe telefonicamente con un ragazzo residente in Belgio- quel giorno se ne va da casa, portando con sé un’ingente somma di denaro (circa 5. 800 €.) ed una valigia trolley; dopo dodici giorni la ragazza fa rientro a casa in perfetto stato di salute e ai Carabinieri in prima battuta racconta di essere andata in Belgio con le amiche per fare shopping.
08.07.2020 – Il ragazzo di origine afghana e residente in Belgio che Saman frequenta, Said, tramite segnalazione giunta all’Interpol di Roma, avverte che nel corso della nottata trascorsa, la giovane sarebbe stata picchiata dal padre, perché quest’ultimo non accetta la loro frequentazione. Una pattuglia dei Carabinieri interviene nell’abitazione della famiglia Abbas, dove identifica i vari componenti del nucleo familiare.
28.10.2020 – I Servizi sociali iniziano ad occuparsi delle problematiche nucleo familiare Abbas (a causa della fuga in Belgio di Saman e dopo il rientro degli Abbas da soggiorno estivo in Pakistan e seguente periodo di quarantena); la ragazza sostiene di aver provato a dialogare con i suoi genitori sulla relazione sentimentale tra lei e il ragazzo residente in Belgio, nata sui social, cercando un’approvazione da loro e chiedendo agli stessi di poterlo conoscere, ma i genitori non erano d’accordo, perché il ragazzo non era Pakistano; Saman racconta all’assistente sociale dell’avventuroso viaggio in Belgio, di aver convissuto un paio di settimane con Said, con l’illusione di contrarre matrimonio con quest’ultimo, che però non aveva alcuna reale intenzione di sposarsi, perché pare essere fidanzato con un’altra donna presso il paese di origine. Delusa per il sentimento non corrisposto, Saman aveva telefonato al padre, in lacrime, chiedendogli di andarla a prendere. Nei giorni successivi al rientro in Belgio, il padre l’avrebbe picchiata e in un’occasione addirittura le avrebbe lanciato un coltello, ferendo il fratello che, nel mentre, si era interposto tra i due (la madre di Saman, rispetto a quest’ultimo episodio, dichiara all’ assistente sociale che il figlio si sarebbe ferito alla mano tagliando l’insalata). Era stato in quell’occasione che Saman aveva chiesto aiuto al ragazzo del Belgio, il quale aveva allertato le forze dell’ordine che erano intervenute sul posto. Durante il colloquio con i genitori della ragazza, la versione dei fatti è risultata diversa rispetto a quanto raccontato dalla figlia, perché i due fanno fatica a ripercorrere in modo lineare tutti i vari passaggi legati della fuga, sono frettolosi e paiono in difficoltà, mentre il padre continua a ripetere che hanno perdonato la figlia e che vogliono dimenticarsi di questa spiacevole vicenda; d’altra parte, Saman sul punto aggiunge che i suoi genitori non avrebbero riportato realmente ciò che era accaduto perché, per motivi culturali, quella fuga è considerata un grande disonore per la famiglia e, per questo motivo, non vogliono che si sappia di quanto accaduto.
09.11.2020 – Saman chiede all’assistente sociale di fissare un colloquio con urgenza e l’indomani (10 novembre), durante tale incontro, la ragazza chiede aiuto perché pochi giorni prima avrebbe appreso che i suoi genitori hanno acquistato un biglietto aereo per il Pakistan, per lei e la madre, con partenza fissata per il giorno 17 novembre, in quanto il 22 dicembre sarebbe fissato il matrimonio «combinato» tra lei e un suo cugino; Saman è contraria sia al matrimonio sia alla partenza per il Pakistan.
10.11.2020 – Al colloquio Saman si presenta davanti all’assistente sociale accompagnata dalla madre, Nazia, la quale cerca di minimizzare la situazione, sostenendo che al momento all’interno del nucleo famigliare tutti sarebbero sereni e tranquilli, chiede che l’indagine finisca al più presto, di non volere più parlare della figlia perché la famiglia l’avrebbe perdonata e che la diffusione della notizia della sua fuga costituisce per loro un grosso disonore ; Saman invece, durante il colloquio effettuato senza la presenza della madre, chiede aiuto all’assistente sociale , perché ha appreso da pochi giorni che i suoi genitori hanno comprato un biglietto aereo per il Pakistan per lei e per la madre e sembra che la partenza sia fissata dopo una settimana circa, precisamente il 17 novembre. Da quanto racconta ragazza, il giorno 22 dicembre in Pakistan sarebbe stato celebrato il suo matrimonio combinato con un cugino, che Saman vuole evitate ad ogni costo; la ragazza aggiunge che nel frattempo si è fidanzata con un ragazzo che vive a Frosinone, conosciuto a Novellara quando frequentava la sua stessa scuola e l’assistente sociale lo contatta, spiegandogli la situazione e questi riferisce di essere ospite presso un Centro di Accoglienza, avendo presentato richiesta di protezione internazionale, ottenendo il permesso di soggiorno provvisorio.
13.11.2020 – Il Servizio Sociale notifica ai coniugi ad Abbas Shabbar e Shaheen Nazia l’allontanamento in emergenza della figlia minore Saman dalla casa famigliare e, a seguito di tale provvedimento la ragazza viene collocata in una Comunità Educativa fuori territorio, con richiesta alla Procura del Tribunale per i Minorenni «di esprimersi in merito ad eventuali provvedimenti in favore della minore, al fine di mantenerla collocata e tutelata all’interno della Comunità Educativa fino a quando la ragazza avrà raggiunto una stabilità emotiva e personale, che le permetta di proseguire un percorso in autonomia anche in un contesto di libera scelta e autodeterminazione».
Si legge nella relazione del Servizio Sociale del 26.11.2020 che «la minore viveva con i genitori a Novellara … l‘alloggio è situato in periferia, lontano dal centro abitato, in mezzo alla campagna. Saman, il fratello e la madre, sono in Italia da quattro anni. La minore ha frequentato le scuole in Pakistan, in Italia ha frequentato solo l’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado, sostenendo l ‘esame di stato e conseguendo la qualifica di licenza media. La ragazza non ha proseguito gli studi, riferendo che il padre non glielo ha permesso, anche se la stessa, da quanto detto, avrebbe desiderato continuare il percorso scolastico. La madre ha riferito che la figlia trascorreva le giornate in casa, aiutando la stessa nelle faccende domestiche e nella preparazione dei pasti, inoltre, sembra che la ragazza trascorresse molto tempo al telefono cellulare. Saman ha riferito di non avere amicizie significative e che quando usciva di casa, lo faceva accompagnata dalla madre. Nazia, la madre della minore, è casalinga e non comprende la lingua italiana. Shabbar, il padre della minore, è in Italia da vent‘anni, si esprime correttamente in lingua italiana e lavora presso un ‘azienda agricola di Novellara dall’anno 2004. Saman ha un fratello minore, Haider, che frequenta il primo anno di scuola a Reggio Emilia. I genitori di Saman sono sposati dal 2001. .. come da tradizione culturale, il loro è un matrimonio combinato dalle rispettive famiglie di origine»
Convocati dal Servizio Sociale per notificare e motivare loro l’applicazione di tale misura protettiva nei confronti della figlia minore, Abbas Shabbar e Shaeen Nazia avrebbero effettivamente confermato di aver «fidanzata» la figlia al cugino circa un anno prima, per poi sostenere che Saman non avrebbe mai manifestato alcun dissenso al programmato matrimonio previsto al compimento della sua maggior età; per contro, durante il colloquio effettuato presso la Comunità nella quale è inserita, la minore ha negato quanto riferito dai genitori sulla vicenda, affermando che non è mai stata d’accordo sul fidanzamento e tanto meno sul matrimonio, riferendo che lei si sentiva troppo piccola per sposarsi e che il cugino era troppo grande (tra i due ci sono 11 anni di differenza). Il padre Abbas Shabbar si sarebbe dimostrato molto arrabbiato al colloquio con gli assistenti sociali, rifiutando di firmare la notifica del provvedimento di allontanamento, riferendo che avrebbe parlato con il Servizio solo tramite il suo legale ed affermando «quando Saman sarà maggiorenne ci penserò io».
03.02.2021 – La polizia giudiziaria interroga – su delega del Pubblico Ministero – Saman, divenuta maggiorenne da poco più di un mese, che conferma la prospettiva del matrimonio combinato e il conflitto insorto sul punto con i genitori;« … Un anno fa il 17/11/2019 sono andata in Pakistan con mio padre e mia madre e ci sono rimasta fino al 14/02/2020. Il 31/12/2019 c‘è stato il fidanzamento con mio cugino di 29 anni, ed il matrimonio era previsto per il giorno 22/12/2020. Io appena ho saputo che mio padre voleva che mi sposassi con mio cugino gli ho detto che non volevo farlo sia perché lui era troppo grande sia perché non mi piaceva.... Mio cugino di chiama R. A. , è nato in Pakistan e vive ancora lì, non ricordo la sua data di nascita. Anche lui era contrario al matrimonio fra noi due ... Dal primo momento in cui ho saputo che la loro intenzione era quella di farmi sposare con mio cugino io ho detto loro di non volerlo fare. Parlando con mia madre le dicevo “dai mamma, tu sei una mamma, lui è troppo grande per me, anche lui non vuole sposarsi con me”. Lei mi rispondeva che non era una decisione mia. Io ho sempre detto, sia quando eravamo in Pakistan che quando eravamo in Italia, che non volevo sposarmi con lui… »; in tale occasione Saman mette anche in luce il carattere particolarmente violento e vessatorio del padre, in specie nei suoi confronti a fronte della ribellione al progetto di matrimonio: « … Le reazioni di mio padre erano violente a livello fisico. Mi picchiava. Una volta, circa 5 mesi fa, ha lanciato un coltello nella mia direzione, non ha colpito me, ma ha colpito mio fratello ALI Haider -che aveva 15 anni- ferendolo ad una mano (mi pare il palmo della mano destra). Nonostante uscisse molto sangue alla sua mano ed io avessi detto di volerlo accompagnare al Pronto Soccorso, nostro padre ha detto che non era possibile ed ha chiuso a chiave la porta di casa. Era presente anche mia madre; che però non ha detto néfatto niente. Tante. volte è capitato che mio padre caciasse di casa me, mia madre e mio fratello, e andava a finire che dormivamo per strada sul marciapiede. Ci cacciava di casa dicendo “questa è casa mia, vai via”, lo diceva rivolgendosi sia a me che a mia madre. Non è successo una volta sola, è successo tante volte. Si comportava così si sia in relazione al fatto che io non volessi sposarmi, ma non solo. Lo faceva anche prima. Spesso era ubriaco di vino e mi picchiava per tanti motivi diversi. Mi picchiava perché io volevo andare a scuola, ma lui non voleva. Infatti ho finito la terza media facendo l’esame, ma quando ho detto a lui che volevo andare alle scuole superiori lui mi ha detto di no e mi picchiava … con me era un continuo, prima del fidanzamento con mio cugino soprattutto quando beveva molto vino, dopo il fidanzamento anche se non era ubriaco lo faceva perché io gli dicevo, anche un po’ arrabbiata, di no, che non volevo sposarmi … ».
10.02.2021 – Viene interrogato anche il nuovo fidanzato di Saman, Saquib, che vive in Italia, il quale conferma la relazione sentimentale con la giovane e il fatto che la stessa fosse candidata dai genitori al matrimonio forzato : « … ho conosciuto Abbas Saman su di un applicativo che si chiama Tik Tok nel periodo agosto 2020 … Sì sono molto preso emotivamente … : Ero stato informato da Abbas Saman che suo padre vuole farla sposare con un parente, quando era ancora minorenne 17 anni … ho dialogato spesso con lei [l’assistente sociale] informandola che i genitori di ABBAS Saman volevano farla sposare in Pakistan, contro la sua volontà ... ».
11.04.2021 – Divenuta maggiorenne Abbas Saman decide di rientrare dalla Comunità (avente sede a Bologna) in cui è stata collocata a novembre, pressa l’abitazione di Novellara, con lo scopo di entrare in possesso dei suoi documenti di identità e di soggiorno, al fine di poter poi fare ritorno in comunità in piena autonomia dai genitori.
22.4.2021 – Saman, dopo il famoso incontro coi Carabinieri cui faceva riferimento l’intervista al Corriere della sera del maresciallo, denuncia ai Carabinieri di Novellara il fatto che il padre trattenga indebitamente i suoi documenti, e racconta delle minacce dirette e trasversali fatte dal padre al suo fidanzato Saquib . Ribadisce anche in quella data che il padre e la madre continuano a volerla far sposare, contro il suo volere e al più presto, con il cugino in Pakistan:
« … .Io in data 11/04/2021 mi allontanavo volontariamente dalla Comunità “Santa Maria Maggiore” di Bologna, prendevo il treno alta velocità alla stazione ferroviaria di Bologna e scendevo alla stazione ferroviaria alta velocità di Reggio Emilia, ed ero da sola. Poi prendevo il treno per Novellara ed arrivavo a casa mia a Novellara. Io il mio arrivo non lo preavvisavo ai miei genitori. Io ero in Comunità da sei mesi e mi sentivo come rinchiusa in quanto non potevo praticare uno sport, non potevo lavorare e non potevo condurre una vita normale. Io sono rientrata a casa a Novellara dal 11 aprile scorso. Io sono rientrata a casa in quanto vorrei entrare in possesso dei miei documenti: infatti ho convinto mio padre a prendere appuntamento in Questura a Reggio Emilia per l’apposizione delle impronte; quel giorno mi dovrei presentare con i documenti ed una volta in possesso fare ritorno in Comunità a Bologna. Io non ho avvisato nessuno della Comunità che mi trovo a Novellara. Al mio arrivo a casa i miei genitori mi chiedevano la motivazione del perché io fossi andata in Comunità, non mi hanno picchiata ma si sono arrabbiati rimproverandomi di tutto quello che avevo fatto nei mesi scorsi come scappare in Belgio ed andare in Comunità. Per quanto riguarda i miei documenti io li ho visti nell’armadio di mio padre, chiuso a chiave. Io non ho mai formalizzato alcuna denuncia che i miei genitori trattengono i miei documenti ma a Bologna ho formalizzato una denuncia di smarrimento degli stessi documenti. Sono intenzionata a presentare denuncia contro i miei genitori per il fatto che trattengono i miei documenti, e non me li hanno voluti consegnare neanche davanti a voi. Infatti quando a casa mia poco prima voi mi avete chiesto i documenti ed io li ho chiesti a loro, i miei genitori non me li hanno voluti consegnare. Quando alla vostra richiesta di consegnarmi i documenti mio padre ha detto che non li avevano, in lingua pakistana a me ha detto di dire a voi che li avevo persi ... D.: I suoi genitori le hanno ancora riproposto di andare in Pakistan per celebrare il matrimonio? R.: Sì, proprio questa mattina mia mamma e mio padre hanno parlato con i genitori di mio cugino ed hanno deciso che nel mese di giugno andremo in Pakistan per il mio matrimonio con mio cugino. Io preciso che non voglio andare in Pakistan a sposarmi, e comunque non voglio sposarmi con mio cugino. Anche mio cugino non vuole sposarsi con me e lui è molto più grande di me ha 29 anni. D.: Abbiamo saputo di un video girato in Pakistan con delle minacce rivolte ai familiari di Saquib. R: Mio padre il 26 gennaio 2021 andava in Pakistan dalla famiglia del mio fidanzato Saquib e parlava con suo fratello dicendogli “Tu dii a tuo fratello Saquib di lasciare Saman “. Il fratello riprendeva queste parole all’interno di un video della durata di pochi secondi. In realtà in quella circostanza si verificava anche una minaccia da parte di mio padre e del fratello di mia mamma di nome (foneticamente) A. N., hanno minacciato il fratello di Saquib, dicendogli “Se tua fratello Saquib non lascia Saman noi uccidiamo Saquib e tutta la vostra famiglia“. In quella circostanza mio padre e mio zio erano accompagnati da altre persone che erano armati di pistole e che hanno anche sparato in aria; in tutto vi erano sei auto che facevano accesso nel cortile di casa della famiglia di Saquib. D.: Ha altro da aggiungere? R.: Sono disposta a tornare in Comunità e non in Pakistan … ».
Ecco dunque la sequenza di eventi che hanno preceduto la tragica notte in cui Saman è scomparsa nel nulla, assassinata brutalmente dalla sua stessa famiglia, secondo le ipotesi investigative della Procura.
Saman non è stata salvata, e a mio modo di vedere, è abbastanza chiaro che sarebbe stato possibile farlo.
Che vi fosse una frattura evidente tra la giovane e la sua famiglia è testimoniato proprio dalla sua prima fuga in Belgio, da quanto dichiarato poi agli assistenti sociali, dalle reazioni violente del padre riportate in più occasioni. Ed è difficile immaginare che di questo non fossero a conoscenza tutte le autorità coinvolte, sia quelle di tutela e sostegno come i Servizi sociali, sia le forze dell’ordine. Del resto è lo stesso maresciallo nella sua intervista già citata, a raccontare di come fosse a conoscenza della situazione di Saman.
Saman poteva essere sottratta a un destino che non aveva scelto, quello di un matrimonio combinato prima, e di un omicidio per punizione dopo. Sarebbe bastato poco, credo. Spiegandole bene ad esempio che avrebbe potuto risolvere i suoi problemi con i documenti ottenendone una copia, senza dover rientrare in casa. Spiegandole che la fiducia nella famiglia la stava esponendo a un rischio concreto di morte. E forse qualcosa di più andava fatto nei confronti di quella famiglia, e di quel padre che le aveva sottratto un documento, compiendo – è bene ricordarlo – un reato.
Ancora una volta il nostro sistema di protezione delle vittime non ha funzionato. Ancora una volta è stata sottovalutata, nello specifico, la pericolosità di un una cultura diversa, e il prezzo lo ha pagato una giovane donna.